Il Parco nazionale del Gran Paradiso (in francese Parc national du Grand-Paradis) è il parco nazionale più vecchio d’Italia, istituito il 3 dicembre del 1922, situato a cavallo delle regioni Valle d’Aosta e Piemonte, attorno al massiccio del Gran Paradiso, gestito dall’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, con sede a Torino. Esteso per una superficie di 71.043,79 ettari, su un terreno prevalentemente montuoso, dal lato francese confina con il Parco nazionale della Vanoise.
La storia del Parco nazionale del Gran Paradiso è strettamente legata alla salvaguardia del suo animale simbolo: lo stambecco (Capra ibex). Questo ungulato, un tempo largamente diffuso a quote elevate, oltre il limite del bosco, su tutto l’arco alpino è stato oggetto di caccia indiscriminata per secoli. I motivi per cui lo stambecco era una preda così ambita dai cacciatori erano i più disparati, tra cui la succulenza della sua carne. Nei primi anni del XIXº secolo, una donna di Gressoney-Saint-Jean, di cognome Zumstein, scoprì che nei valloni che discendono dal massiccio del Gran Paradiso ne sopravviveva una colonia di circa cento esemplari.
Il 21 settembre 1821 il re di Sardegna Carlo Felice emanò le Regie patenti con le quali ordinava: «Rimane fin d’ora proibita in qualsivoglia parte de’ regni domini la caccia degli stambecchi». Questo decreto, che salvò lo stambecco dall’estinzione, non fu ispirato da valori di protezionismo ambientale, non contemplati nella mentalità dell’epoca, bensì da mere speculazioni venatorie. La rarità di questi esemplari ne rendeva la caccia un lusso che il sovrano concedeva solo a se stesso.
Nel 1850, il giovane re Vittorio Emanuele II, incuriosito dai racconti del fratello Fernando, che durante una visita alle miniere di Cogne era stato a caccia, volle percorrere di persona le valli valdostane. Partì dalla valle di Champorcher, valicò a cavallo la Fenêtre de Champorcher e raggiunse Cogne; lungo questo tragitto, uccise sei camosci ed uno stambecco. Il re rimase colpito dalla abbondanza di fauna e decise di costituire in quelle valli una Riserva reale di caccia.
Furono necessari alcuni anni affinché i funzionari di Casa Savoia riuscissero a stipulare centinaia di contratti con cui i valligiani e i comuni cedettero al sovrano l’utilizzo esclusivo dei diritti venatori relativi alla caccia al camoscio ed ai volatili, poiché la caccia allo stambecco era vietata ai valligiani già da un trentennio, ed in alcuni casi persino dei diritti di pesca e di pascolo. I montanari non poterono più portare ovini, bovini e caprini sui pascoli d’alta quota, che furono riservati alla selvaggina.
Nasce ufficialmente, nel 1856, la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso, il cui territorio era più ampio dell’attuale parco nazionale; infatti comprendeva anche alcuni comuni valdostani (Champorcher, Champdepraz, Fénis, Valgrisenche e Brissogne) che in seguito non furono inseriti entro i confini dell’area protetta. I valligiani, dopo i primi malumori, cedettero volentieri i loro diritti al sovrano, comprendendo che la presenza dei sovrani in quelle valli avrebbe portato benessere per la popolazione locale. Re Vittorio promise che avrebbe fatto “trottare i quattrini sui sentieri del Gran Paradiso”.
Fu istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta addetti denominati Reali Cacciatori Guardie, furono restaurate chiese, argini e case comunali, costruiti casotti per i guardaparco e case di caccia più grandi utilizzando manovalanza locale. Tuttavia, l’opera più importante che cambiò il volto delle valli valdostane e canavesane fu la fittissima rete di mulattiere selciate fatte costruire per collegare i paesi con le case di caccia, coprendo una distanza di oltre 300 km. Queste strade furono progettate per permettere al re ed al suo seguito di spostarsi comodamente a cavallo all’interno della riserva. La maggior parte di esse è ancor oggi percorribile. Superano dei ripidi versanti con innumerevoli, ampissimi tornanti mantenendo sempre una lieve e costante pendenza. Si snodano in buona parte oltre i duemila metri ed in taluni casi superano i tremila (Col du Loson 3296 m e Colle della Porta 3002 m). I punti più impervi sono stati superati scavando il tracciato nella roccia. La carreggiata è lastricata di pietre, sostenuta da muri a secco costruiti con notevole perizia e presenta una larghezza variabile da un metro ad un metro e mezzo.
Il tratto meglio conservato si trova in Valle Orco; dal Colle del Nivolet, dopo un primo tratto a mezza costa, la mulattiera reale scavalca i colli della Terra e della Porta, tocca la casa di caccia del Gran Piano (recuperata di recente come rifugio) per poi scendere al paese di Noasca